Avete letto bene. E soprattutto, avete visto bene. Fine anni ’50, lo stadio Olimpico di Roma è praticamente un bimbo, è stato inaugurato il 17 maggio 1953, deve ancora vivere l’apoteosi dei Giochi Olimpici del 1960. L’Italia è un Paese con un tasso di sportività molto limitato: secondo l’Istat, soltanto un milione di italiani, (oggi questa cifra si è grosso modo moltiplicata per 20) dichiara di praticare un’attività sportiva saltuaria o continuativa. Dunque, si va all’Olimpico. Non c’è ancora la copertura, la capienza è più grande, ci sono ancora i posti in piedi. L’atletica ha un suo fascino, ma per la preolimpica in cui il marinaio Vladimir Kuts stabilisce il primato del mondo dei 5000 metri gli spalti non sono certo vicini al sold-out. La scena si ribalta quando arrivano le scuole.
Le finali dei campionati studenteschi vengono disputate in uno stadio che somiglia a quello dei giorni dei derby o delle sfide scudetto. Tutti a correre, a saltare, a lanciare. E poi c’è anche lui, il podio, proprio nelle gare di cui parlano i giornali e che ti fanno sognare di poter diventare un giorno campione e andare alle Olimpiadi.
Impossibile citare tutti i protagonisti di quella stagione, ma uno sì: il professor Argante Battaglia, trascinatore degli alunni dell’Armellini. È il momento più virtuoso della storia dell’atletica di base: in questi stessi anni grazie a uno storico accordo fra il ministero dell’Istruzione, la Fidal e il Coni, vengono costruiti decine di Campi scuola per l’atletica che ancora oggi rappresentano una parte significativa dell’impiantistica sportiva italiana.
I tutto esaurito dei campionati studenteschi somigliano a un sogno irripetibile. Ma a volte si dice: mai dire mai…