Pier Paolo Pasolini era uno sportivo. Andava in bicicletta sulle Dolomiti, era tifosissimo del Bologna, all’università aveva giocato a basket. Quando arrivò a Roma, cominciò a inseguire tanti palloni in periferia. Il regista-scrittore-polemista in gioventù si era anche cimentato nell’atletica. E proprio un suo amico, Luciano Serra, raccontò di una gara dei 1500 metri in cui il futuro autore di “Ragazzi di vita”, piegato da un attacco di dissenteria, finì la sua corsa nei bagni dello spogliatoio. Serra era un saltatore. Un triplista, autore peraltro di una pregevole “Storia dell’atletica europea”. Fu un amico carissimo di Pasolini. E forse gli istillò anche il gusto per l’hop step jump dell’atletica.
Trent’anni dopo, nel 1969, Pasolini incrociò un altro triplista, uno che era stato primatista del mondo e l’anno prima aveva conquistato la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Città del Messico: Giuseppe Gentile.
Fisico scultoreo e talento puro, al saltatore fu offerta la parte di Giasone nella Medea pasoliniana, ora recentemente restaurata per l’ultimo Rome Film Festival.
Inizialmente il saltatore, preso dai suoi impegni sportivi, disse no. Poi, complice qualche infortunio di troppo che non gli dava tregua, si buttò nell’impresa che condivise con il grande regista e con Maria Callas, che interpretava appunto Medea per la tragedia scritta da Euripide. Le riprese furono girate in Siria, in Turchia, a Pisa e a Grado, ma il cast trascorse diverso tempo a Roma ed è qui che Pasolini incaricò Gentile e il suo amico Gianni Brandizzi, discobolo e anche lui fra gli attori del film nella parte di Ercole, di fare da ciceroni per la Divina Callas nelle serate di Roma.