Paola Pigni insegnò alle italiane tutte le coniugazioni del verbo CORRERE. Lo fece in una lunga carriera atletica che spaziò dalla velocità alla maratona, che disputò nel 1971 in una temporalesca edizione della San Silvestro a Roma, dove segnò un tempo soltanto di 43 secondi superiore alle tre ore.
Erano i tempi in cui la corsa lunga era un pianeta proibito per le donne. Lei sfidò tutte le convenzioni e sfoderò un repertorio larghissimo. Neanche le 13 operazioni chirurgiche che frastagliarono il suo percorso le tolsero la voglia di andare avanti in un itinerario impreziosito dalla medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Monaco del 1972 sulla distanza dei 1500 metri.
Nel frattempo, Paola – deceduta nel 2021 all’età di 75 anni – aveva cambiato spartito (a proposito, era figlia di un tenore e di una soprano): chiuse le fatiche agonistiche faceva da punto di riferimento ai cosiddetti tapascioni che si riunivano all’Acqua Acetosa.
Si rese conto di aver avuto un ruolo fondamentale nella storia dello sport delle donne, senza nessuna forma di presunzione o di snobismo. “Per trovare un senso allo sport non serve il record del mondo. Ognuna di noi ha un suo record del mondo da battere – scrisse sulla Gazzetta dello Sport per il suo settantesimo compleanno – Dobbiamo combattere quel senso di fragilità e di inadeguatezza che a volte ci blocca”.
Sapeva combattere le sue battaglie con il sorriso. Eccola sulla pista dello stadio dei Marmi intitolata a Pietro Mennea. L’atletica e lo sport italiano le devono moltissimo.