Un giorno poteva pure inventarsi una variazione sul tema: niente corse, ma tre salti in alto, una roba da 1,85 o giù di lì “in perfetto stile zompafratte” (l’espressione è sua). Altre volte il suo riscaldamento era particolarmente originale: tre chilometri sotto i 10 minuti. Nel frattempo, Amici e Zazzeretta, i custodi del campo dell’Acqua Acetosa, preparavano la pista in terra battuta che poteva consentirti una prova o due al massimo prima di diventare a rischio buche e infortuni.
Altro che tartan, quando poi arrivò la nuova superficie non è che a Roberto Frinolli, campione d’Europa dei 400 ostacoli nel 1966 e numero 1 al mondo, in quell’anno e anche la stagione precedente, piacesse parecchio. Quel materiale avvantaggiava gli specialisti più “fisici”, lui era soprattutto classe e allenamento. Originale, oggi impensabile: persino qualche galoppata fino a Ostia partendo dalle Tre Fontane, al tempo in cui Luciano Duchi non aveva ancora fatto nascere la tradizionale corsa verso il mare.
Frinolli è stato ed è un campione e un uomo riservato. Ma presente. E lo stadio oggi intitolato a Paolo Rosi ne è testimone. I suoi ostacoli, la sua “lotta”, parola che gli piace moltissimo, la sua affettuosa rivalità con Salvatore Tito Morale, i suoi consigli da allenatore, gli anni da direttore tecnico, quelli a guidare tanti atleti, fra i quali il campione del mondo Fabrizio Mori, la sua patente di “cussino” (nel senso di CUS Roma), la sua pipa, sono un capitolo ricchissimo della storia di questo campo. Dove in diversi hanno scelto la sua specialità, incluso il figlio Giorgio, oggi tecnico azzurro. O come Pina Cirulli, che dei 400 ostacoli con barriere è stata l’apripista italiana proprio su queste corsie magiche tanto care al Professore.